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E’ un caso, e diverrà uno scandalo mondiale senza precedenti: è indetta la più grande vendita d’archeologia clandestina mai organizzata. Roba da far impallidire Sotheby’s o Christie’s, che per anni hanno messo all’incanto reperti di “arte rubata” (al sottosuolo spesso italiano, agli studi scientifici, al patrimonio della cultura).

I curatori fallimentari dei beni appartenuti al “mercante nero” di archeologia più fornito al mondo, l’inglese Robin Symes che tra l’altro ha commercializzato capolavori come l’Afrodite di Morgantina, il Volto d’avorio, il trapezophoros con Due grifoni che sbranano una cerva e molto ancora, hanno deciso di alienare i suoi reperti, non considerando la loro provenienza, del tutto illegittima. E non si tratta di poca cosa: a Symes erano stati trovati, a New York, Londra e in Svizzera, ben 33 depositi, con 17 mila oggetti, almeno per sei decimi scavati illegalmente nel nostro Paese e valutati 125 milioni di sterline, 160 di euro. Ma ancora peggio è che i curatori di Londra venderanno gli oggetti forti delle expertise della missione ufficiale italiana che ne ha garantito l’autenticità.

Riassumiamo la pessima storia: nel 1972, il Metropolitan Museum di New York sborsa per la prima volta un milione di dollari per un singolo reperto archeologico, e compra il Cratere di Eufronio (Cerveteri) che ha dovuto restituire nel 2007. Da allora, per più di tre decenni, fino agli inizi degli Anni 2000, s’è compiuta la Grande Razzia: un sistematico ed organizzato furto dal nostro sottosuolo, operato da decine di migliaia di persone («Soltanto io ne ho indagate oltre 2.500», dice il sostituto Procuratore di Roma Paolo Giorgio Ferri, del pool investigativo specializzato); la Razzia ha privato l’Italia forse di un milione di oggetti antichissimi, tra cui parecchi capolavori unici al mondo. Un centinaio di questi oggetti, cioè pochissimi, sono stati finora restituiti da alcuni musei (tra cui il Getty, il Metropolitan, Boston e Princeton), gallerie e collezionisti americani, mentre ancora s’indaga su numerosi altri musei, giapponesi ed europei (perfino sul Louvre) e tanti privati. Agivano infinite squadre di “tombaroli”, che vendevano a pochi trafficanti (il più famoso è Giacomo Medici, condannato in primo grado a 10 anni di carcere e 10 milioni di euro di provvisionale da rifondere allo Stato). Dai trafficanti, gli oggetti giungevano ai grandi musei spesso attraverso pochissimi mercanti internazionali. Uno è Robert Bob Hecht, sotto processo a Roma con la curator del Getty Marion True: quello che ha ceduto al Metropolitan il Cratere di Eufronio. Ma Symes non ha certo venduto meno di lui, anzi. Per indicarne il giro d’affari, disponeva di fidi in banca per ben 57 milioni di dollari.

Symes ha vissuto numerose disgrazie. Il 4 luglio 1991, cadendo da una scala in una casa nel Ternano, muore il suo socio e compagno di vita Christo Michaelides. E, dopo una battaglia legale in Gran Bretagna, gli eredi ottengono la metà dei suoi beni. Symes finisce anche in prigione per tre anni. Addio alla bella vita a Londra, New York, Atene e Schinoussa, nelle Cicladi, Gstaad, Bahamas e Montreaux.

Il crac, nel 2005, è terribile. In base a una legge inglese, i curatori devono accertare l’autenticità dei suoi beni; e, grazie a un accordo riservato nel 2007 tra l’allora ministro dei Beni culturali Francesco Rutelli e l’omologo inglese, e perfezionato dall’Avvocato dello Stato Maurizio Fiorilli (Il Messaggero l’ha svelato nel febbraio scorso), una missione italiana, per sei mesi ha esaminato alcuni dei 33 depositi di Symes, e ha certificato l’autenticità, ma anche l’illegale provenienza, di numerosi dei suoi tesori archeologici. Ecco: sono questi i beni, truffaldinamente acquisiti, che i curatori inglesi hanno deciso di vendere, incuranti perfino dell’eventualità che la giustizia italiana li possa perseguire penalmente. Chi sa che un reperto antico proviene da scavi clandestini e lo commercia, rischia anche un’accusa di riciclaggio: fino a 12 anni di reclusione. Ma, soprattutto, sarà uno scandalo a livello mondiale: mai, prima d’ora, si era infatti verificata una vendita così massiccia di oggetti dichiarati di provenienza clandestina.

Chi lo sa: forse, i curatori contano anche sulla lentezza della giustizia italiana. Il processo contro Bob Hecht e Marion True, iniziato nel 2005, non si è ancora concluso; anzi, ha appena subito un altro mese di rinvio. E quello contro altri due grandi mercanti, i libanesi Ali e Hisham Aboutaam che erano anche partner di Medici, non è nemmeno iniziato. Intanto, però, Alì è in galera: arrestato in Bulgaria, per un mandato di cattura emesso dall’Egitto, dove è stato condannato a 15 anni per scavi clandestini. Insomma, anche Il Cairo è più rapido di Roma. E il cognome degli Aboutaam, secondo un rapporto riservato, può anche condurre a finanziamenti, attraverso l’arte rubata, dei gruppi islamici più oltranzisti. Del resto, anche Mohammed Atta, “regista” della strage americana dell’11 settembre, cercava di vendere dei reperti afgani, diceva «per comprare un aereo». Soltanto a ricordarlo, fa ancora rabbrividire.