Interesting item from Il Messaggero gives an idea of the scope of one (major) player in the illicit antiquities trade:

Per quasi sei mesi, nel massimo riserbo, alcuni archeologi del ministero dei Beni culturali e carabinieri del Comando per la Tutela del patrimonio culturale hanno “lavorato” in alcuni dei 39 depositi dove Robin Symes, per almeno 30 anni uno tra i massimi mercanti internazionali dell’archeologia scavata di frodo, conservava i suoi 17 mila reperti, che la giustizia inglese ha valutato 125 milioni di sterline (165 di euro: 330 miliardi di vecchie lire), e che, almeno per i sei decimi, provenivano dal sottosuolo del nostro Paese. I depositi (ne aveva a Londra, Ginevra, New York) sono quelli inglesi; la collaborazione tra i due Paesi è il frutto d’un accordo segreto, stipulato a luglio 2007 dal vicepremier e ministro dei Beni culturali Francesco Rutelli, con l’allora suo omologo britannico; l’accesso ai dati e agli oggetti di Symes, sotto il vincolo della riservatezza, è stato diretto dall’Avvocato dello Stato Maurizio Fiorilli. E’ evidente quanto sia importante il lavoro di “spoglio” dei materiali: per stabilirne la provenienza, ed eventualmente iniziare le procedure per una loro rivendicazione da parte italiana.

Dopo i “sancta sanctorum” di Giacomo Medici al Porto Franco di Ginevra (oltre tremila reperti e più di mille foto; lui è stato condannato in primo grado a 10 anni di carcere e 10 milioni di euro come provvisionale allo Stato, per i danni inferti al patrimonio culturale) e di Gianfranco Becchina a Basilea (settemila oggetti, che la Svizzera non ha finora trasmesso, e migliaia di documenti: lui non è ancora stato processato), quello di Symes è il terzo importante deposito dei “predatori dell’arte perduta” che gli inquirenti del nostro Paese riescono a conoscere, e a perlustrare. Symes è stato uno dei tre maggiori “rifornitori” del Getty Museum, che, ad esempio, acquista da lui la Venere di Morgantina, nel 1988 per 18 milioni di dollari (tornerà in Italia nel 2010), e lo stupendo kantharos a figure rosse di 2.500 anni fa, forse eseguito da Eufronio come vasaio e decorato dal Pittore della Fonderia con due maschere di Dioniso e di un satiro, ormai tornato, ed attualmente esposto al Quirinale. Ma è anche colui che ha dovuto consegnare ai carabinieri la Maschera d’avorio, il più grande oggetto crisoelefantino (oro e appunto avorio) al mondo, «commissione certamente di un imperatore romano» spiega il professor Antonio Giuliano, che gli era costata 10 milioni di dollari e avrebbe potuto vendere - così dicono le stime - a cinque volte tanto.

Gli esperti italiani hanno dunque potuto studiare una parte dei “pezzi” che Symes aveva già acquistato, ma non ancora venduto ai maggiori musei del mondo e ai più disinvolti tra i collezionisti privati sulle due sponde dell’Atlantico; ma non, purtroppo, il suo archivio. Nel 1999, muore il socio e da 30 anni compagno di Symes, Christo Michaelides. Se ne va all’ospedale di Orvieto, per una caduta dalle scale in una villa di Terni, affittata da Leon Levy e Shelby White: una coppia tra le più ricche degli Usa, collezionisti di grande fama (lui non c’è più, lei ha recentemente acconsentito a restituire dieci importantissimi vasi al nostro Paese, e ha finanziato la nuova ala greco-romana del Metropolitan). E poco dopo, nell’isola di Schinoussa nelle Cicladi, dove Symes e Christo possedevano una villa, il mercante inglese passa «tre giorni e tre notti a bruciare documenti», come certificano alcuni testimoni. A Schinoussa, però, vengono ritrovati 995 reperti archeologici (610 greco-romani) e, in 17 album, 2.191 fotografie di autentici capolavori, per qualcuno «la crème de la crème», tutti venduti da loro: anche la famosa Artemide marciante, ormai recuperata dai carabinieri; un marmo di Zeus in trono ripescato in mare e acquistato dal Getty; una scultura di un giovane ritrovata poi al Museo di Cleveland; la Kore arcaica restituita nel 2007 dal Getty alla Grecia, e anch’essa ora al Quirinale; e così via. Del resto, in una delle sue tante mostre, a New York nel 2000, Symes aveva esposto 152 oggetti, valutati, nel loro insieme, ben 42 milioni di dollari.

Il mercante, che è sui settant’anni e ha due figli, ormai non commercia più. E’ anche finito in carcere; la giustizia inglese ha attribuito la metà dei suoi beni agli eredi di Christo, in particolare la sorella Despina della importante famiglia greca degli armatori Papadimitriou. Ha dichiarato bancarotta. La legge inglese impedisce ai curatori di un fallimento di vendere oggetti di dubbia provenienza: anche da qui la “consulenza” italiana, che è logicamente foriera di ulteriori sviluppi nelle indagini in corso a Roma, sotto la direzione del sostituto procuratore Paolo Giorgio Ferri. Dettagli divertenti: una delle società di Symes si chiamava Nonna Investments, e aveva un fido in banca di 17 milioni di dollari; lui, in due anni, cede, ad esempio, 19 reperti archeologici, tutti senza provenienza, al “re del rame”, il boliviano George Ortiz che da sempre vive in Svizzera.